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Cibo, vino e imprenditorialità

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Dovere e piacere nell’etica del lavoro stacanovista non sono mai andati a braccetto. Eppure l’importanza dello svago anche nel mondo dell’imprenditorialità è attestata perfino da studi scientifici.

Insomma il lavoro si nutre anche di divertimento, di convivialità. E in antichità addirittura cibo e vino erano il pretesto per condividere pensieri e opinioni, spesso su argomenti complessi, spinosi. Un altro modo per addolcire la medicina amara, insomma.

Quindi rimboccarsi le maniche è importante, certo. Ma senza dover appendere al chiodo le proprie passioni. Che poi le passioni sono il vero nutrimento del lavoro, a pensarci bene.

E se fosse un aperitivo l’occasione giusta per scoprire nuove possibilità lavorative?

Quando si parla di nuovi progetti di accompagnamento all’imprenditorialità, come nei migliori simposi moderni, pane e vino non possono mai mancare.

Così chi quei tragitti li ha già percorsi si racconta nel modo più conviviale che ci sia. Per dimostrare che il lavoro, certo faticoso, non è sempre solo sacrificio. E tutto sommato “se ce l’abbiamo fatta noi, può farcela chiunque”. Una confessione fatta a quelli che stanno per iniziare una nuova corsa.

Imparare ad essere imprenditori

Si impara ad essere imprenditori osservando quindi chi imprenditore lo è già diventato. E tacitamente insegna le pratiche migliori, quelle più efficaci. Al passo coi tempi oggi, visionarie rispetto al futuro domani.

Imparare facendo. Imparare osservando, rubando i segreti del mestiere. È così che si apprende con maggiore facilità. Come le lingue. Non basta studiarle sui libri. Bisogna praticarle, ascoltarle. Bisogna osservare chi le padroneggia. Per imitare i suoni, la mimica. Quel corollario di comportamenti che compone la comunicazione.

Avere un’idea e trasformarla in impresa

Le storie di chi ce l’ha fatta raccontano un percorso di educazione all’imprenditorialità prima di tutto. Intraprendiamo, Eos, Nemo. Questi i nomi di quei tragitti che in aula e a distanza hanno ispirato nuovi progetti imprenditoriali su tematiche all’avanguardia come ICT, Agrifood, beni culturali e turismo.

Accanto ai desideri personali, le aspettative e i sogni, ci sono poi i bisogni del territorio. Ogni regione ha i suoi talenti. Vocazioni particolari. Settori di sviluppo economici precisi. Per leggere queste possibilità implicite, bisogna mettersi in ascolto delle vere esigenze. E poi trasformarle, tradurle.

Come accade quando un pensiero interiore deve concretizzarsi in linguaggio. È quello del mercato in questo caso. Delle richieste del momento, del contesto economico in cui l’idea intende calarsi.

È una questione di condivisione

La costruzione del sapere imprenditoriale è un fatto condiviso. C’è collaborazione e ognuno contribuisce con l’apporto di conoscenze specifiche, conoscenze tacite apprese in contesti differenti.

I partecipanti sono parte attiva. Sotto la supervisione dei docenti che in questo contesto indossano soprattutto i panni dei tutor, dei mentor che accompagnano l’azione formativa. E poi i consulenti che supportano l’attività prima della sua nascita. E dopo soprattutto, quando vengono mossi i primi passi. I più faticosi, quelli determinanti che richiedono sacrificio e fatica.

E infine un po’ di miele per addolcire la medicina amara

Ci sono cose che devono essere fatte. Impegni, incombenze. Eppure c’è un modo per rendere più piacevole qualcosa che si fa per necessità.

Addolcire la medicina amara cospargendo i bordi del recipiente con qualche goccia di miele è possibile. Come consiglia un antico filosofo e poeta latino.

Lo insegnano ad esempio le classi capovolte. Spesso il problema non è il compito da svolgere. Ma la via che si sceglie per arrivare a quell’obiettivo. Conta l’approccio. E se quella strada è obsoleta, allora bisogna avere il coraggio di invertire la rotta.

Capovolgendo quella che è sempre stata la pratica dominante. Possibilmente davanti a un bicchiere di vino e sempre in compagnia.